La poesia
oggi è un prodotto di massa. Basta avere un diario e provare a scrivere, basta
vivere i tormenti dell’adolescenza per iniziare ed ecco un poeta in più, uno
dei milioni di poeti che affollano le strade, le piazze, i locali, le città e,
dato che per pubblicare basta avere un po’ di soldi, uno in più che pubblica un
libro, e abbiamo migliaia di raccolte che, dopo aver affollato le tipografie
convenzionate con gli editori a pagamento, dopo aver soddisfatto l’ego del
neopoeta, non raggiungono gli scaffali delle librerie e puntualmente vanno a
finire al macero!
Non è certo
un danno per il PIL, ma un danno per la cultura, questo sì!
Infatti, molti
editori scelgono la via più facile e non fanno più né la revisione dei testi,
né la selezione delle raccolte. Pubblicano perché l’autore paga, sminuendo il
lavoro prezioso dell’editore. Il risultato è che si producono migliaia di libri
di dubbio valore, il che non giova alla crescita dell’arte poetica e diseduca i
pochi potenziali lettori al godimento della vera Poesia. Con questo meccanismo
massificante la poesia ne fa le spese, e con essa i molti validi poeti che
trovano sempre maggior difficoltà a far sentire la propria voce. Non solo: il
poeta che pubblica poesie immature, brucia il suo lavoro e la sua prospettiva
di crescere. Insomma, il mercato è malato.
Intendiamoci,
c’è anche molta poesia di grande valore, ma naviga a vista, immersa nella
materia non filtrata che di nuovo dice ben poco.
Altro
problema, la moda del momento, e si vedono tantissime opere che trattano temi
di attualità (per i quali basta leggere un giornale) o temi erotici, perché si
crede, erroneamente, che se si segue la scia si trova uno spazio in questo
affolato mercato. Anche qui, succede che spesso si scambia per arte un lavoro
mediocre, si crede che sfruttando un tema caldo si troverà qualche lettore in
più. Niente di più falso, perché la creatività guarda oltre, si specchia con
l’anima e non sfrutta correnti effimere.
Insomma, la
poesia che passerà alla storia deve beneficiare del filtro dell’editoria, e
l’editoria deve ridiventare seria, deve curare l’opera per venderla non
all’autore, ma al lettore.
I poeti di
oggi affolleranno le enciclopedie on line, le raccolte a pagamento, le agende
pubblicitarie, avranno un trafiletto dedicato in qualche pubblicazione
pseudo-specialistica, e si illuderanno di aver raggiunto la celebrità, ma si
tratta di un successo autocelebrativo, uno specchio di Narciso a pagamento.
C’è da
chiedersi, se dovessimo mandare un CD nello spazio che contenga dieci poesie, ci
sarà anche un solo autore contemporaneo, tra i dieci scelti, per comunicare con
gli alieni?
Con questo
non voglio dire che non ci sono grandi poeti o ottimi editori, semmai voglio segnalare
che sono troppe le pubblicazioni scadenti e che i cataloghi sono pieni di carta
da macero e, con tutto il rispetto per poeti ed editori, questo è un danno
gravissimo alla poesia e in generale alla cultura! Se solo si facesse maggiore
selezione, sarebbe anche più facile promuovere opere di valore e segnalare le
nuove promesse.
È anche vero
che molti autori e critici si sono adoperati per trovare in questo marasma i
talenti rappresentativi della poesia contemporanea. In questa direzione un
lavoro straordinario è stato fatto da Ninnj Di Stefano Busà e da Antonio
Spagnuolo, che hanno cercato, selezionato e trovato poeti validi, tra i milioni
attivi negli ultimi vent’anni, ma ripeto: sono stati loro a cercare. Ne è venuta fuori un’antologia pregevolissima
che raccoglie molti validi esempi di poesia prodotta nell’ultimo ventennio.
Sicuramente
ci saranno altre operazioni di valore come questa, ma non basta, occorre andare
oltre, incoraggiando gli editori che escono dalle logiche di mercificazione dei
servizi editoriali, promuovendo le opere di valore che danno lustro alla poesia
italiana contemporanea, e soprattutto non pubblicando qualsiasi cosa (tanto
paga l’autore).
Occorre
pubbicare meglio, e forse pubblicare meno!
Claudio
Fiorentini
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