Già
il titolo lascia ben sperare, ma la lettura del libro è anche più stimolante.
Raramente ci si imbatte in libri di così grande qualità e viene da chiedersi
perché la nostra letteratura in Italia e nel mondo non è rappresentata da opere
come questa.
Scritto
benissimo, senza esitazioni, dalla prima pagina entra nel mondo onirico per
dare al lettore qualcosa di più della speranza, qualcosa che non può essere
misurato con metri o pesi.
Personaggi
strambi, semplici e ironici, che si rivelano complessi e ricchi di
sfaccettature e che nel loro essere irreali chiedono al lettore di
identificarsi con loro.
Zeno,
un disoccupato pigro compra una nanocasa, rara superstite dell’urbanizzazione
selvaggia, che in mezzo allo sfacelo edilizio sopravvive come testimone di un
mondo dove ancora è possibile credere nell’incredibile. In questa casa scopre
un mistero assurdo, una cantina piena di inutli cianfrusaglie e, su una parete
del soggiorno, una targa con su scritto Servabo. Che follie aveva per la testa
l’ex-proprietario? Zeno comincia a interessarsi alla storia del suo
predecessore a seguito di alcune visite di personaggi surreali che gli portano
delle moleskine, tutte uguali, tutte contenenti, scritto a mano, lo stesso
frammento di un racconto di Borges. L’avventura comincia, e si svolge tutta
intorno agli oggetti trovati in cantina, alle moleskine, e ai personaggi che
hanno portato questi quaderni a chi supponevano fosse il proprietario. Ne viene
fuori una società segreta che, facendo un mercato di cianfrusaglie inutili, si
impegna nel raccontare le storie, inventate, delle cianfrusaglie. La reazione
dei visitatori è meravigliosa. Il mercato è fallimentare, non si vende nulla,
ma l’obiettivo dei membri della società segreta non è vendere, è raccontare.
Già
questa trama strampalata e originalissima è un buon motivo per affrontare la
lettura, ma lo sono anche lo stile, la leggerezza del linguaggio, l’ironia e le
ulteriori evoluzioni della storia.
Il
romanzo è allegro e invita a credere che il sogno sia ancora possibile. L’autore,
noncurante della realtà contingente, si concentra sulla realtà più intima,
quella che risiede in ciascuno di noi e che ci fa pensare che non tutto è
perduto, che ancora esiste un motivo per ridere, per vivere, per sognare, e per
seguire le segrete trame dell’immaginazione.
I
quaderni che contengono questo frammento di racconto sono dieci, solo tre
vengono restituiti, e i personaggi che lo fanno sono un netturbino scrittore
che somiglia a Jeff Bridges, un cacciatore di fulmini soprannominato Gabin, e
una distinta e anziana signora che racconta fiabe nei parchi ai bambini.
Permettetemi
di ricopiare qui un frammento del libro che ne riassume la grandezza. È notte,
il protagonista è insieme a Gabin, che si chiama Ansano, su un tetto, presto ci
sarà il temporale. Ansano ha fissato la macchina fotografica sul cavaletto e tenta
di fotografare fulmini:
“Ne ha catturati molti?”
“Nessuno” regolando l’altezza del
cavalletto “migliaia di foto buie”
…..
“Per tatto preferisce non
chiedermene il motivo?”
“Mancavo di coraggio” sincero,
prendendo il vento in faccia.
“Non si preoccupi, non è il primo e
non sarà l’ultimo” cambiando rullino “ Vede, questi sono fallimenti di un istante, costano la fatica di un dito e
il prezzo di pochi centimetri di pellicola. Principalmente offrono un riscatto
a breve, cosa che la vita rifiuta. Si spendono giorni, mesi, anni in qualcosa
che si sbriciola con nulla, che crolla prima di essere eretto. Dopo non c’è più
tempo, modo, voglia di riprovare. L’essere umano si affanna fino allo spasimo
per costruire qualcosa di duraturo, è innocente e connaturale, sebbene sia la
propria condanna. Capisce dunque perché cerco di immortalare i fulmini? Provo,
con sforzo minimo, a ottenere il massimo risultato catturando l’infinitamente
breve, costringendolo all’eternità”. Pausa, facendosi più scuro in volto: “Forse
non accadrà mai, ma che importa; quante persone possono sinceramente affermare
di aver ottenuto ciò che desideravano nella vita?”.
Così
sono i dialoghi e così i personaggi che affollano questo romanzo: meravigliosi
visionari che vivono per qualcosa di perfettamente inutile. E che ci inducono a
sognare.
Il
finale, del tutto imprevedibile, riesce anche a commuovere, al punto che si
vorrebbe abbracciare il protagonista, si vorrebbe entrare nel libro e prender
parte al mercato, ma non ci si rammarica di essere arrivati alla fine, perché
libri come questo continuano a vivere nella mente.
Il
libro ha meritatamente vinto il primo premio all’Albero Andronico 2014.
Raccomando
vivamente la lettura!
Claudio
Fiorentini