martedì 31 maggio 2016

Fedeli ai sogni



Il sogno è tra le circostanze, forse la principale, che determinano la genesi della poesia, o di qualsiasi atto creativo. Il sogno è una vita parallela piena di stimoli, genera idee, le svela alla nostra limitata mente... oltre ai travagli quotidiani e a tutte le nostre vicissitudini, infatti, ci guida un mondo parallelo fatto di immagini e sensazioni che non possiamo toccare, che sono lontane da ogni possibile gabbia razionale, e di cui non possiamo fare a meno. Essergli fedeli, non tradirle, non è forse una forma di religione? Del resto il sogno ci è fedele e dobbiamo corrispondere a questa sua qualità. 
La poesia (come anche le altre arti), quando nasce, si guarda bene dall'essere razionale. Allora, ciò che guida ogni artista nel suo percorso, è qualcosa di insondabile, per fortuna, altrimenti la poesia sarebbe come una formula matematica, e non stravolgimento delle formule. Posso aggiungere una scemenza? Tempo addietro in un laboratorio sono state rilevate le onde gravitazionali, una delle tante forze misteriose di cui ben poco sappiamo. Ebbene, non potrebbe essere possibile che ogni umano abbia in sé la capacità di captare questi misteri e di tradurli in quell'inquietudine che spesso ci guida? Ecco, direi, forse si parte dalla percezione di un mistero che ci portiamo dentro sin dalla nascita, e che terminerà solo con la morte. Da dove viene, dove va, lo si può studiare ma non lo si può controllare, eppure è quanto di più intimo e più profondo ci portiamo dentro per tutta la vita. Questo vale per tutti. L'uomo è forse come un'antenna che capta cose di cui poco sappiamo, e proprio perché non possiamo spiegarle, ma ne abbiamo l'esigenza, le traduciamo in poesia...
Claudio Fiorentini

P.S.: quando moriremo porteremo con noi solo i nostri sogni (questo intendo quando dico che i sogni ci sono sempre fedeli), ma da morti non serviamo a nulla e se i sogni muoiono iniseme a noi non saranno serviti a nulla... a meno che, a meno che, da vivi, noi non si faccia di tutto per realizzarli (questo intendo per essere fedeli ai sogni)!

Inattesa sul mare, di Marina Pratelli


Il sentimento profondo che unisce gente comune, segnando vite e destini, viene trattato con linguaggio magistrale. I personaggi escono dal libro e il lettore cede al fascino della narrazione sin dalla prima pagina. Questo bellissimo romanzo racconta storie di gente povera e semplice, un libro pieno di valori minimi, quei valori che fanno della vita un continuo atto d’amore. La trama è semplice, ma lo spunto per scavare nei sentimenti più profondi è deciso: uno slavo fugge da una guerra che non capisce per andare in Francia, ma si ferma a Ventimiglia, dove trova amici che diventano la sua famiglia. Il tutto è cullato dalle onde, che sono sempre lì, a dar ritmo alla lettura.

lunedì 30 maggio 2016

Ombra bianca, di Cristiano Gentili


 Il libro è una stupenda e corposa immersione nell’Africa nera vissuto sia dal punto di vista dei nativi che dal punto di vista dei figli dei coloni. Senza giudicare credenze e superstizioni, l’autore le fa vivere con una serenità incomparabile. Bisogna capire prima di esprimere giudizi sommari. Il romanzo è avvincente e cattura l’attenzione del lettore dalla prima parola, da quando un’ombra bianca, un nero albino, viene al mondo, e per un gesto che si ribella a tradizioni ancestrali, viene salvato. L'opera permette di scoprire mondi diversi dal nostro con sguardo neutro, senza inserire considerazioni inutili, che sarebbero comunque visioni parziali, dettate da una storia e una condizione che nulla hanno a che vedere con la realtà narrata. La capacità di aprire gli occhi, sembra dirci l'autore, è quello che più manca alla nostra asfittica realtà, e questa lettura ci accompagna in un mondo ingenuo e meraviglioso, nello scontro-incontro tra tribù e culture a noi lontane, costringendoci ad amarle. Cristiano Gentili, volontario in Africa, è destinato a fare molta strada.

L'epigono di Magellano, di Ubaldo De Robertis


L’epigono di Magellano è un gran libro. Iniziamo dal linguaggio: compresso, pieno d’ironia, brillante, inaspettato e compresso, a tratti anche fiabesco. Lo stile di Ubaldo De Robertis convince subito e serve da esempio ai tanti scrittori che oggi cercano di farsi strada nell’affollato mondo della narrativa contemporanea, ma serve anche da elisir di piacere per i lettori che hanno dimenticato che oggi si può leggere qualcosa di diverso. L’autore è un poeta, e si vede nelle descrizioni, nei dialoghi, nelle situazioni che narra: “Lassù, oltre il crinale di ulivi, l’assalto di rovi e cespugli. Le ombre penetrano il bosco, divorano i colori; rimane l’odore del muschio asservito alle rocce, ai tronchi più vecchi e cadenti…”. Questa qualità è mantenuta in tutte le pagine e l’opera vanta un ritmo fortemente lirico e musicale. Anche nelle situazioni comiche, che non sono poche.
L’originalità, tratto principale di quest’opera, sta nel partire da una trama apparentemente insignificante, trasformando ogni minimo evento in una fonte di arricchimento sia lirico che di pensiero. La trama, comunque, a un certo punto esplode e si dipana come un filo di Arianna in un labirinto, guidando il lettore verso la soluzione della stessa, che ci mette in pace con quella parte di noi che borbotta, sbuffa, tentenna e brontola sempre. In pace, direi, temporanea, perché quella parte rimane pur sempre un nodo irrisolto di un uomo che si vuole irrisolto per essere in qualche modo felicemente in pace con se stesso. Quindi essere in pace non porta la pace, semmai soffoca il brontolio, che alla fine ci piace e ci permette di identificarci nel personaggio che ci fa da specchio.
La narrazione è in prima persona. Il protagonista, Mike, un ricercatore di fisica che si vuole scrittore, ha un gattone, Magellano, che osserva il mondo dai suoi vispi occhietti, diventando alter ego del protagonista, riuscendo là dove Mike fallisce, essendo migliore degli uomini in generale. Comparte il loro spazio vitale Camilla, la correttrice di bozze, che odia il gatto e che ha sempre una battuta acida pronta per partire come un fendente verso il suo datore di manoscritti nonché padron di casa. Le donne del romanzo, oltre Camilla, sono Margherita, amante dello scrittore, e Ottavia, donna di mezza età esperta di astrologia. Altro personaggio chiave è Marco, farmacista e amico per la pelle, ed è proprio con lui che si verificano le situazioni più esilaranti. La trama ha un punto di svolta quando muore Magellano, il gatto tricolore, grasso e saccente, e Mike, vedendosi costretto ad affrontare la vita da solo, rimette a posto i tasselli del suo rompicapo, grazie alla grandezza e alla saggezza delle sue amiche, donne, meravigliose donne che hanno una marcia in più, e che per dimostrarlo non hanno bisogno di superpoteri, ma di gesti minimi, di parole, di dignità.
Aleggia in tutto il libro Bulgakov, con il suo Il maestro e Margherita, che riesce a riportare il lettore verso veri riferimenti letterari, non certo sceneggiati di prima serata della TV. Troppi libri, infatti, oggi ricalcano ritmi e stilemi da sceneggiatura, come se la nostra letteratura, invece di essere guida, fosse trainata costantemente dalle tendenze della moda. L’autore dimostra che per fare un buon libro, oggi, non è necessario emulare linguaggi cinematografici, e grazie al suo stile e alla sua capacità descrittiva dell’animo umano, propone un romanzo di grandissimo pregio, partendo da spunti di vita quotidiana e restituendoli con cipiglio narrativo, preda di descrizioni poetiche, trasformandoli in grandi cose. Si sa, del resto, le grandi cose, quando le fai, non sai cosa sono, e cominciano piccole.
Claudio Fiorentini

domenica 29 maggio 2016

La piuità



Leggo che una star di Hollywood di neanche trent’anni fattura ottanta milioni l’anno, un’altra, a soli ventisette anni, ha avuto sei nomination all’oscar, un rapper tatuato insieme alla sua compagna vale un miliardo, una top model chiede per una sfilata di mezz’ora qualche valigia di bigliettoni, e un narcotrafficante messicano appena evaso è più ricco di Bill Gates… soldi, soldi, soldi… dati dallo star system… e successo, successo, successo…  decretato dallo star system… e prime pagine nei media, concesse dal media system (se poi non troviamo più le parole in italiano per esprimerci è una triste conseguenza di quello che dico in questi primi paragrafi).
L’uomo più ricco, l’attore più bello, il giocatore più pagato, la cantante con il miglior didietro, il principe che pilota gli elicotteri, la donna più potente, il CEO più influente, la donna più attraente, tutti americani, o eventualmente inglesi… questo propongono i “media”. A noi rimangono le veline, i ballerini, i politicanti, i valletti, i palafrenieri, le belle amanti, quelli che sono arrivati e quelli che hanno svoltato, quelli che hanno trovato la panacea e quelli che si sono sistemati… e comunque è questione di soldi, solo soldi… e apparenza, apparenza, apparenza… che però te la permettono i soldi, soldi, soldi, perché una con un bel didietro non finisce sui giornali se non è ricca, e un bravo (brava) attore (attrice) non è nessuno se non ha ingaggi milionari…
Questi ed altri, dello stesso tenore, sono i nostri modelli, che in comune hanno il segno più, il superlativo… polarizzando il desiderio dei comuni mortali o, meglio, delle masse.  
Miti, miti contemporanei. O falsi miti. Tutti fuoriusciti dalla fabbrica di immagini che invade le nostre giornate, che sia attraverso i media, la rete o le foto sui giornali, che sia attraverso il sentito dire, la chiacchiera al bar o in mensa con amici o colleghi, che sia attraverso il commento critico di qualche sociologo o di qualche intellettuale, il risultato è che se ne parla, li si pensa, li si combatte o li si subisce, e pur nolenti li abbiamo tutti ben piantati nelle nostre teste. Miti, o falsi miti, non importa. Sono loro, le immagini dei “più” che influenzano le nostre scelte e che determinano i nostri ritmi. Nessuno uscirà illeso da questo continuo bombardamento. Anche il più refrattario, alla fine, si troverà un giorno a parlare di queste figure, di questi personaggi, costruiti ad hoc dalla stampa e dai media, e dovrà fare i conti con ciò che oggi è diventato il nostro desiderio nascosto e il nostro modello. Anche per questo la diffusione delle arti, la critica, l’editoria segue la strada dei falsi miti, perché porta denaro, perché porta pubblico, perché porta… comunque porta… La stampa non parlerà di un romanzo meraviglioso che però non risponde alle esigenze (in forma diretta, indiretta o antagonista) dei modelli e dei miti di cui si parla sempre, ed ecco che i romanzi diventano sceneggiabili e i protagonisti spesso assomigliano a un personaggio da film, ed ecco perché la poesia (quella ufficiale) ha perso l’orientamento… questione di miti e del contesto di valori che si portano dietro… che si riassume in una parola: mercato! O in quattro parole: voglia di farne parte.
Ma non scoraggiamoci. Esiste un’altra fabbrica di miti, silenziosa, persistente, penetrante… una fabbrica di miti diversa, che percepisce il vuoto e la falsità delle immagini dei “più” e vi si ribella, una fabbrica profonda e rigenerante da cui non possiamo fuggire. Loro, i “più”, provano a neutralizzarla, e forse ci riescono, in parte, in buona parte… loro ci provano, forse neanche lo sanno, ma tentano di convogliare le energie di questa fabbrica diversa verso le loro “piuità”, verso le loro mire… e ci convincono che anche loro sono parte di questo mondo silenzioso che si muove alla ricerca del mito, fabbricando o rigenerando un mito, vivendo con un mito in testa che non sia quello dei media, ma quello dei valori, per questo di quelle star da ottanta milioni l’anno si parla tanto, inneggiando alla loro “disinteressata” opera di volontariato o di sostegno al volontariato…
Invece, questa fabbrica che pullula di operai squattrinati, di impiegati senza risparmi, di disoccupati che danno il proprio tempo (l’unico valore che gli rimane), e di manager laboriosi, questa fabbrica dove lavora la gente comune (che però a volte, anzi, spesso si fa la guerra, o si organizza in caste, o si ghettizza o si organizza in consorterie) costruisce, ci prova almeno, i nuovi miti.
Non è una fabbrica ideale, però è una fabbrica di ideali, anche se un po’ pasticciata, disorganizzata, umanizzata e contaminata dalla “piuità”… è una fabbrica di miti silenziosa, persistente, penetrante… e si manifesta attraverso l’arte, la creatività, l’intelletto, la libertà… la voglia di fare, la necessità di vivere e di affermare il solo ed unico principio per cui vale la pena combattere fino alla morte, che è quello che ti permette di dire: “io sono vivo, e sono io, sono me, sono la mia voce interiore, la ascolto, la seguo… per questo non solo esisto, ma sono, e mi manifesto per quello che sono ”… 
Questa seconda fabbrica di miti, pur nella sua imperfezione, ci propone un’alternativa alla più roboante e inimitabile fabbrica dei (falsi) miti contemporanei, proprio perché i falsi miti, spiegati all’inizio di questa mia alzata di scudi, sono schiavi del loro tempo, quando invece i miti di questa seconda fabbrica sono eterni, e si traducono in valori, sentimenti, sogni. Sono cose che non si toccano e che, pur non allineandoci ai desideri del “piuismo”, semplicemente, ci rendono migliori.
Se solo la fabbrica fosse meglio organizzata, libera da contaminazioni “piuistiche” e maggiormente fondata sul senso di appartenenza, sulla voglia di collaborare, sulla presa di coscienza che un mito prodotto lì dentro può cambiare il mondo, allora se ne vedrebbero delle belle, e quella pletora di falsi miti si vedrebbe ridimensionata a fotografie da rotocalco di serie B, di cui parlare solo trenta secondi e basta, sì, basta! Perché alla fine tutti abbiamo di meglio da fare!
Claudio Fiorentini