venerdì 29 luglio 2016

La narrativa oggi.


La narrativa oggi.
Le opere architetturali, cioè quelle costruite più sul plot narrativo che sulla ricerca stilistica o sulla ricerca di una via espressiva, se vogliamo, anche un po’ misteriosa, sembrano essere quelle preferite dai maggiori editori italiani oggi. Alcune di queste sono ottime e si leggono con piacere, ma è quasi inevitabile trovare personaggi molto simili tra di loro, con tormenti risolvibili aritmeticamente, e con vite prevedibili, perché spesso, troppo spesso si basano su stereotipi. Capita quindi che la narrazione utilizzi ingredienti noti, razionali, quotidiani, e che l’unico elemento di novità sia l’intreccio della storia. Su questa scia, molti autori minori, guidati anche da quello che si legge in giro, affollano le scrivanie degli editori minori con richieste di pubblicazione di opere in tutto simili ad altre pubblicate da editori maggiori, per cui assistiamo ad un continuo inseguimento dove la lepre la fanno gli editori “importanti” con le loro linee editoriali (sarebbe meglio dire la loro strategia "squisitamente" commerciale), e gli inseguitori sono gli autori che, avendo idee anche rispettabili, incanalano la propria creatività alla ricerca di un giusto riconoscimento. La guida, insomma, la fa chi pensa al profitto, e il resto, anche la creatività, non è che una conseguenza della spietata legge del mercato. In tutto questo, però, forse si dimentica che un ruolo fondamentale lo ha la televisione. Non so quante volte vi è capitato di sentire, per fare un complimento allo scrittore, che l’opera si presta per un film. Ci vuole poco, del resto, a dirlo, un film nasce sempre da un lavoro di scrittura… però, credo che questo paragone non sia necessariamente positivo perché chi dice che l’opera può diventare un film, lo fa con i suoi film preferiti in testa, quindi con riferimento ai tanti déjà vu e non con l’idea di vedere qualcosa di veramente nuovo. Se, avendo tempo e voglia si guardano le serie TV (o certi film) che vanno per la maggiore, quasi tutte produzioni americane, si può rilevare che la maggior parte di queste sono gialli investigativi, racconti polizieschi e storie di eroi. Alcune sono fatte benissimo, da far sfigurare i timidi tentativi nostrani di produrre serie più a misura della nostra cultura provinciale, che poi lo spettatore “evoluto” non guarderà mai (in un fenomeno cinematografico recente, il film “lo chiamavano Jeeg robot”, troviamo l’uomo triste e solitario che diventa supereroe e che si trova a combattere contro i cattivi, film di grande successo, acclamato dalla critica, che però non è altro che una triste reinterpretazione delle megaproduzioni d’oltre oceano, a dimostrazione che l’originalità non paga, e che la creatività sia un ingrediente inutile per avere successo).
In letteratura, mi è capitato di leggere romanzi in cui l’autore, in uno slancio di onestà, fa chiaro riferimento alla passione per le serie televisive americane. Quasi una confessione, o una delazione per quelli che scrivono lo stesso genere di libri con la stessa impostazione stilistica. Comunque, a parte le influenze nefaste che la TV o il cinema possono avere, e hanno, sulla nostra letteratura, occorrerebbe parlare delle influenze benefiche, cioè di ciò che fa sì che un’opera letteraria sia anche un’opera artistica, e questo faremo tra un po'. Intanto, vi chiedo: quante volte vi è capitato di leggere un qualsiasi romanzo e di non trovare nulla, ma proprio nessun elemento in gradi di farvi pensare a qualcosa di nuovo, o in grado di darvi quella sensazione, quel brivido, quell’emozione profonda che poi, una volta chiuso il libro, lavora nella vostra testa per tre giorni? Quante volte, una volta finita la lettura, dimenticate tutto e non sentite dentro di voi nulla, assolutamente nulla che possa ricordarvi che avete letto un’opera di valore? Possiamo citare mille nomi di autori contemporanei, ma sarebbe scorretto, che non passeranno alla storia anche se vendono tanti libri e sono acclamati dalla critica ormai consortile, possiamo citare titoli di opere vane, vacue e inutili che si leggono avidamente ma senza che si assimili la pur minima emozione. Quella, secondo me, non è letteratura. Se, però, quando si legge un libro si sente che qualcosa succede, si pensa, si trema, si ha un brivido e, una volta arrivati alle ultime pagine, si rallenta la lettura, si degustano le parole lette, si sente che ad alzare gli occhi dalle pagine si vede tutto in modo diverso, beh, allora quella è letteratura. Insomma, la letteratura, a prescindere dal genere, deve, necessariamente, farci iniziare un viaggio nella parte inesplorata di noi stessi. In questo gli autori contemporanei spagnoli e latinoamericani sono dei maestri, con loro anche i libri di denuncia, quelli più crudi, hanno la chiave che apre le porte del sogno. Certo, generalizzare è un errore, ma il mio scritto non è altro che un pensiero formulato sulla base di centinaia e centinaia di letture che, a mio avviso, invece di premiare la nostra letteratura, la uccidono. L’ingrediente mancante, nella nostra letteratura oggi (a parte alcuni rari casi) è il sogno. Già, il sogno. Io credo che l’unica cosa che un uomo porta con sé quando muore sono proprio i suoi sogni, quindi è l’unica cosa che gli appartiene fino in fondo. E poi, non sono proprio i nostri sogni a muoverci verso la loro realizzazione? Questi, però, non sono un lavoro, una casa, una famiglia, ma come vorremmo che fosse il mondo, cosa potremmo fare per essere migliori, cosa vorremmo per i nostri figli… i sogni sono quelle cose intangibili, inesistenti, bizzarre e volatili per cui vale veramente la pena di lottare, di combattere, di vivere…
Ma nella letteratura italiana contemporanea, mi verrebbe da dire, il sogno sta scomparendo. Oppure no, non sta scomparendo, semplicemente è stato messo da parte a vantaggio delle strategie commerciali che s’ispirano sempre di più alla letteratura d’oltre oceano (come è successo per le produzioni TV e come succede, sempre più spesso, nel cinema) e l'editore, che del resto è un imprenditore, invece di promuovere cultura, si limita a produrre oggetti di consumo altrimenti chiude bottega. Come ovvia conseguenza, lo scrittore medio segue la tendenza e il lettore medio si adegua (mentre il lettore evoluto ricorre ai grandi classici). Perché tutto questo?
Nessuno mi toglierà dalla testa che la creatività esiste ma non emerge, perché vittima della legge dell’offerta e della domanda, e perché sommersa dalla quantità di opere (direi di relativamente facile scrittura e lettura) di consumo. Ma c’è, esiste, lotta per sopravvivere. Allora, cosa manca affinché emerga? Non mancano gli scrittori, non mancano gli editori (pochi, indipendenti, piccoli…) coraggiosi, ma poi è il mercato che definisce le regole del gioco. E il mercato è un tiranno governato da tiranni, il mercato vuole un popolo di consumatori, un popolo passivo e coglione che dica sempre sì, non vuole un popolo di pensatori, perché quelli fanno la rivoluzione e cambiano i paradigmi fino a impossessarsi della realtà! Questo, forse, successe nel ‘68… poi il mercato, o chi lo gestisce, si è evoluto e ha capito che, una volta creato un “modello”, lo si segue. Questa è la dinamica di cui siamo vittime. Tutti! I “modelli” che fanno mercato, e di “modelli” se ne vedono tanti, su misura per le nuove tendenze, sono anche in grado di “anticipare” i desideri delle masse. Non si tratta di un romanzo di Orwell, ma della realtà. La legge suprema del marketing vuole l’uomo schiavo e privo di pensiero, perché ciò che conta, o ciò che regolamenta il mercato, non sono la volontà o l’unicità dell’individuo, anzi, quelle vanno neutralizzate… ciò che conta è la capacità di creare tendenze attraverso modelli efficaci, e la capacità di neutralizzare la volontà individuale attraverso queste tendenze.
Per questo la letteratura oggi non fa sognare e non agisce come amplificatore di pensiero. E non crediate che con un romanzo di denuncia si risolvono questi problemi, no… anche la denuncia passa per i filtri della censura del mercato e ormai non è altro che uno specchio per allodole, un lupo addomesticato, l’illusione che il mondo si può cambiare che però resta illusione senza mai debordare nel sogno. Allora, cosa occorre per cambiare? Non dimentichiamo che dietro le regole del mercato esistono sempre delle menti, esistono degli uomini, spietati, avidi, senza scrupoli, sono loro a muovere le pedine, a decidere dove o come agire, anche portando avanti azioni e scelte per noi, semplici elementi di una massa amorfa, sono scandalosi e incomprensibili. Sono uomini che giocano con i nostri destini, ma pur sempre uomini. Come noi! E se noi, invece di farci addomesticare da questa dinamica, riuscissimo ad esprimere l’inespresso, a ricordare che questo è il motore del pensiero e dell’arte, allora, non credete che potremmo far qualcosa di buono per l’umanità? Gli scrittori devono essere in grado di sognare e devono far sognare, altrimenti tutto è inutile! Attenzione, però, anche lo stile è un elemento fondante della letteratura. Anche il piacere di far vivere il linguaggio è un dovere dello scrittore. Anche stabilire che una parola è meglio di una parolaccia è un gesto di eleganza e di recupero della bellezza. Per questo dico BASTA! Non ne posso più di commissari depressi e solitari con una vita privata distrutta, non ne posso più di giornalisti dinoccolati che diventano paladini della lotta al malaffare, non ne posso più di luoghi comuni, di stereotipi, di scurrilità, di scopate a profusione, di indagini su fatti di cronaca che finiscono in storie d’amore improbabili. O meglio, questi elementi ci possono anche stare, ma mimetizziamoli, cambiamoli, deturpiamoli, rendiamoli utili alla narrazione, non oltre… perché tutto deve essere immerso in un sogno più grande, un sogno per cui veramente vale la pena scrivere, e consentiamoci di arrivare al punto finale con un brivido, una lacrima e con la voglia di leggere ancora un autore contemporaneo!
Claudio Fiorentini

sabato 16 luglio 2016

Scadenza prorogata al 30 settembre


Partecipate al premio Albero Andronico. La scadenza è spostata al 30 settembre. Il bando completo è qui

venerdì 15 luglio 2016

Esercizi d'infinito di Fabio Cacioli.








Il paragone più calzante, per questo bellissimo romanzo, sarebbe un appassionante film del miglior Lelouch. Vite che all’inizio sono storie a sé, si intrecciano con la giusta lentezza, e tutto ha un perché, tutto si riallaccia per un motivo profondo che non possiamo scoprire. Il mistero è una benedizione, e questo libro lo trasmette. E il linguaggio si dipana senza una caduta, senza un cedimento, senza un rallentamento del ritmo ossessivo che cresce lentamente come un bolero… Insomma, un eccellente lavoro di tessitura di storie credibili e veridiche che rapiscono il lettore regalandogli il piacere di un romanzo cinematografico e degno dei più grandi registi europei!



giovedì 14 luglio 2016

Siamo anche un programma radio

Visioni da Captaloona è anche un programma radio! Tutti i lunedì alle 12,30 (tranne ad agosto) su www.radiopalcoscenico.net

Ecco i link ai podcast delle precedenti puntate

http://www.spreaker.com/user/performingradio/captaloona-11-luglio

http://www.spreaker.com/user/performingradio/visioni-da-captaloona-4-luglio

https://www.spreaker.com/user/performingradio/visioni-da-captaloona-27-giugno

https://www.spreaker.com/user/performingradio/visioni-da-captaloona-20-giugno

Prima della pausa di agosto avremo ancora due trasmissioni, il 18 e il 25 luglio... poi ci risentiamo a settembre! 

Buon ascolto!

mercoledì 13 luglio 2016

Dopo la pausa

Un silenzio di qualche settimana a causa di un virus che ha infettato il computer... eccoci di nuovo!

Il ruolo dell'artista, in questa fase di transizione, è cruciale, perché dalla poesia nascono i miti. La sfida è molto dura, perché il vuoto lasciato dall'esaurimento della mitologia è stato occupato dalla fabbrica dei falsi miti che ha prodotto modelli di vita artificiali e che spinge l'umanità ad ispirarsi a quei modelli. L'arte è stata messa al margine dei circuiti di comunicazione ed è stata sostituita da pseudo-arte, rappresentata da veline o da cialtroni che si definiscono artisti. Basta giocare a pallone per scrivere un libro di barzellette, basta fare uno spettacolo in TV per improvvisarsi romanziere.... Questi modelli che ora occupano gli scaffali pretendono di sostituirsi al mito perché molti artisti, plagiati dal proprio narcisismo, si sono allontanati dalla ricerca dell'archetipo per soddisfare artigianalmente il pubblico, indebolendo così il ruolo dell'artista nella società, rinforzando così la dinamica di un mercato che ci trasforma in automi atti a consumare e basta. Ora più che mai occorre risvegliare la coscienza dell'artista, di tutti gli artisti, anche di quello che vive immerso nella sua convenienza, schiavo della consorteria, anche lui, perché se solo un giorno ha iniziato a scrivere o a dipingere per vocazione, non può ora aver perso tutto, e la sua coscienza va risvegliata. Il manifesto culturale Il Bandolo ha tentato di dare qualche linea guida sul cammino che abbiamo davanti, sulle sfide che dobbiamo affrontare, andiamo avanti per questa strada.
Claudio Fiorentini


giovedì 23 giugno 2016

serpe



Per poi tornar bambini
come se la vecchiezza nel suo lemme avvicinarsi
altro non fosse che un incantatore di serpenti
che nella melodia sospende la sorte
per poi, chiusa la cesta, avviarsi ad altri mercati.

Si può, forse, in un ammanco di veleno
uscir dal vimine e inoffensivi rastrellar villaggi
e, pur se non portatori di mortali morsi,
d’intorno urla di paura e gesti incontrollati
si aprirebbero come ventagli fino ad esser strade
deserte per l’arrivo dell’infida bestia.

Ma la realtà ci vuole sedotti
da melodie inesperte e da occhi taglienti
per uscire al canto e rimaner chiusi al chiasso
perché di noi la serpeggiante natura
va controllata, e con essa anche l’angelo che vive
tra terra e cielo, in un incantamento ancora inespresso.

Dicevi: Kundalini, serpente piumato, tentatore dell’Eden
dormi, sei una serpe!
Invece io t’imploro: apri la cesta
lascia che io strisci fino a capire come si fa a volare
perché il rettile è canto di rondine capovolto
ma canto sarebbe, non serpe, se questa vecchiezza incantatrice
non avesse sospeso la mia sorte
di ritornar bambino al nuovo inizio
e all’altra morte.

Claudio Fiorentini
Tutti i diritti sono riservati

martedì 21 giugno 2016

Nessuno ha mai visto decadere l’atomo di idrogeno, di Dario Pontuale




 

Già il titolo lascia ben sperare, ma la lettura del libro è anche più stimolante. Raramente ci si imbatte in libri di così grande qualità e viene da chiedersi perché la nostra letteratura in Italia e nel mondo non è rappresentata da opere come questa.
Scritto benissimo, senza esitazioni, dalla prima pagina entra nel mondo onirico per dare al lettore qualcosa di più della speranza, qualcosa che non può essere misurato con metri o pesi.
Personaggi strambi, semplici e ironici, che si rivelano complessi e ricchi di sfaccettature e che nel loro essere irreali chiedono al lettore di identificarsi con loro.
Zeno, un disoccupato pigro compra una nanocasa, rara superstite dell’urbanizzazione selvaggia, che in mezzo allo sfacelo edilizio sopravvive come testimone di un mondo dove ancora è possibile credere nell’incredibile. In questa casa scopre un mistero assurdo, una cantina piena di inutli cianfrusaglie e, su una parete del soggiorno, una targa con su scritto Servabo. Che follie aveva per la testa l’ex-proprietario? Zeno comincia a interessarsi alla storia del suo predecessore a seguito di alcune visite di personaggi surreali che gli portano delle moleskine, tutte uguali, tutte contenenti, scritto a mano, lo stesso frammento di un racconto di Borges. L’avventura comincia, e si svolge tutta intorno agli oggetti trovati in cantina, alle moleskine, e ai personaggi che hanno portato questi quaderni a chi supponevano fosse il proprietario. Ne viene fuori una società segreta che, facendo un mercato di cianfrusaglie inutili, si impegna nel raccontare le storie, inventate, delle cianfrusaglie. La reazione dei visitatori è meravigliosa. Il mercato è fallimentare, non si vende nulla, ma l’obiettivo dei membri della società segreta non è vendere, è raccontare.
Già questa trama strampalata e originalissima è un buon motivo per affrontare la lettura, ma lo sono anche lo stile, la leggerezza del linguaggio, l’ironia e le ulteriori evoluzioni della storia.
Il romanzo è allegro e invita a credere che il sogno sia ancora possibile. L’autore, noncurante della realtà contingente, si concentra sulla realtà più intima, quella che risiede in ciascuno di noi e che ci fa pensare che non tutto è perduto, che ancora esiste un motivo per ridere, per vivere, per sognare, e per seguire le segrete trame dell’immaginazione.
I quaderni che contengono questo frammento di racconto sono dieci, solo tre vengono restituiti, e i personaggi che lo fanno sono un netturbino scrittore che somiglia a Jeff Bridges, un cacciatore di fulmini soprannominato Gabin, e una distinta e anziana signora che racconta fiabe nei parchi ai bambini.
Permettetemi di ricopiare qui un frammento del libro che ne riassume la grandezza. È notte, il protagonista è insieme a Gabin, che si chiama Ansano, su un tetto, presto ci sarà il temporale. Ansano ha fissato la macchina fotografica sul cavaletto e tenta di fotografare fulmini:

“Ne ha catturati molti?”
“Nessuno” regolando l’altezza del cavalletto “migliaia di foto buie”
…..
“Per tatto preferisce non chiedermene il motivo?”
“Mancavo di coraggio” sincero, prendendo il vento in faccia.
“Non si preoccupi, non è il primo e non sarà l’ultimo” cambiando rullino “ Vede, questi sono fallimenti  di un istante, costano la fatica di un dito e il prezzo di pochi centimetri di pellicola. Principalmente offrono un riscatto a breve, cosa che la vita rifiuta. Si spendono giorni, mesi, anni in qualcosa che si sbriciola con nulla, che crolla prima di essere eretto. Dopo non c’è più tempo, modo, voglia di riprovare. L’essere umano si affanna fino allo spasimo per costruire qualcosa di duraturo, è innocente e connaturale, sebbene sia la propria condanna. Capisce dunque perché cerco di immortalare i fulmini? Provo, con sforzo minimo, a ottenere il massimo risultato catturando l’infinitamente breve, costringendolo all’eternità”. Pausa, facendosi più scuro in volto: “Forse non accadrà mai, ma che importa; quante persone possono sinceramente affermare di aver ottenuto ciò che desideravano nella vita?”.

Così sono i dialoghi e così i personaggi che affollano questo romanzo: meravigliosi visionari che vivono per qualcosa di perfettamente inutile. E che ci inducono a sognare.
Il finale, del tutto imprevedibile, riesce anche a commuovere, al punto che si vorrebbe abbracciare il protagonista, si vorrebbe entrare nel libro e prender parte al mercato, ma non ci si rammarica di essere arrivati alla fine, perché libri come questo continuano a vivere nella mente.

Il libro ha meritatamente vinto il primo premio all’Albero Andronico 2014.
Raccomando vivamente la lettura!

Claudio Fiorentini

figli dei cloni degli alieni

Leggendo qui e là, ho appreso che siamo prodotto di cloni di una civiltà aliena buttati sulla terra 300000 anni fa per estrarre l’oro di cui, questa civiltà, ha bisogno per i propri scopi. Il discorso quadra perfettamente, del resto l’oro aveva già un valore per la sua lucentezza prima che diventasse riserva aurea di Nazioni e di banche. Quadra anche perché l’oro è il metallo che va via via diventando non più fonte di ricchezza ma supporto per le nuove tecnologie. Quadra anche perché per secoli gli alchimisti hanno cercato di estrarre l'oro dal piombo... Sì, ha veramente senso, cari amici cloni di alieni, come me. Già, ha senso pensare che trecentomila anni fa esisteva una civiltà aliena che aveva tecnologia avanzatissima che permetteva di viaggiare tra galassie e produrre cloni interi, ma che trovava più facile produrre l’umanità e aspettare 300000 anni piuttosto che andarsi a cercare l’oro con un passino su un fiume o con un piccone in miniera… già, ha senso, e mi chiedo, perché non ci ho pensato prima?

Claudio Fiorentini